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L’ omaggio al western
classico, il rapporto tra Uomo e Natura e colui che avrebbe voluto, almeno una
volta, essere “ucciso” in un film, dal grande Clint Eastwood…
Nasci artisticamente come attore di
teatro, come ti sei avvicinato al cinema, alla regia ed alla sceneggiatura?
Nasco artisticamente come attore di
teatro nel 1985, poi, andando avanti nel tempo, siccome ero già un appassionato
di cinema, il passaggio dal teatro alla cinematografia è stato breve, istintivo,
naturale ed ho cominciato a metterlo in pratica a modo mio, con il mio stile.

Si dice che il cinema
italiano sia attualmente in crisi. Volevo chiederti, quali sono le difficoltà
che s’incontrano oggi nel realizzare un film di spessore, dalla produzione, a
tutto il resto?
Le difficoltà credo siano molteplici ed
è anche abbastanza difficile dare una risposta certa. Ci sono una serie di
componenti, la prima è che già a livello di bravi registi e di grande cinema,
non è che ci sia stato un ricambio generazionale di spessore, anche se penso,
che oggi esistono anche e per fortuna, attori e registi validi. Poi c’è
l’assoluta non volontà, nonostante molti lo dicano, di non interagire nel film
di genere e questo ha comportato una sorta di appiattimento, perché si continua
a raccontare solo il quotidiano, in più, secondo me, non sempre si racconta
bene. Nel dopoguerra si narrava, ma aveva qualcosa di epico, d’importante, come
il neorealismo. Oggi le difficoltà di proporre le idee, che siano diverse da
tutto questo, sono molteplici. Non fare film in costume comporta una serie di
problematiche, perché si manda in crisi un settore, perché i sarti non servono
più. Comporta, che gli attori non perdano l’abitudine a lavorare in film dove si
raccontano altre epoche, come avveniva invece negli anni ’60/70. Forse oggi,
rispetto al passato, manca un gioco di squadra, perché ci si basa più sulla
prodezza personale.

Vincitore del premio Acec
al Tentacoli Film Festival per il lavoro cinematografico Inferno Bianco; un film
interamente autoprodotto con un budget di seimila euro: a dimostrazione che un
buon lungometraggio non ha sempre e necessariamente bisogno di grandi
finanziamenti…
Quella di Inferno bianco, grazie anche
a tutti coloro che hanno collaborato e accettato di “sposare” questo progetto, è
stata una delle più belle avventure della mia vita, almeno finora. Chiaramente
voglio andare avanti, non mi voglio fermare. E’ stato un viaggio anche
spirituale; il rapporto con la montagna ( girato sul GranSasso), molto
importante a livello personale. In più sono stato ovviamente orgoglioso, con
pregi e limiti, perché parliamo sempre di cinema indipendente; abbiamo impiegato
solo seimila euro per produrre questo film. Vincere con un western è qualcosa
d’inebriante, qualcosa che non dimenticherò mai. In termini pratici, abbiamo
fatto come si faceva un tempo; diviso quei pochi soldini che avevamo messo da
parte, grazie anche a tutto il materiale che possiedevamo già; costumi, armi
della mia collezione privata, cavalli messi gentilmente a disposizione da amici
che conoscevamo e che hanno contribuito e reso possibile questo progetto,
abbassando notevolmente i costi. In caso contrario, sarebbe stato veramente
impensabile andare a noleggiare il tutto, quindi unendo le forze e mettendo a
disposizione la mia collezione privata, compreso il fatto, che eravamo a un’ora
da Roma; in Abruzzo, siamo riusciti a portare a termine questa straordinaria
missione. Un viaggio assolutamente estremo, con le bufere, in pieno inverno, con
la neve, da dicembre, ad aprile. Volevo sottolineare l’impegno massimo e
ringraziare ancora una volta tutti, perché sono stati veramente straordinari per
l’impegno e l’attaccamento a questa storia che ho scritto e per la regia a metà
di Emiliano Ferrera, perché ci siamo dovuti aiutare sulla neve, anche se
solitamente il regista è uno, ma in condizioni così estreme, l’unione ha fatto
la forza, tra me ed Emiliano.

Con Inferno bianco, hai
esplorato il genere western, sfiorando l’horror, con scene che ricordano
vagamente Shining. Come mai la scelta di un film in bianco e nero?
La scelta è stata dettata da due
motivi. Il primo è quello autorale; mi piaceva il bianco e nero, perché dava un
effetto di atmosfere, in quanto avrebbe valorizzato ancora di più la neve.
Questo si “sposava” in maniera straordinaria con la storia che avevo scritto,
quindi valorizzare questo colore, che è sinonimo di angoscia; l’assenza del
colore, da qui appunto il titolo Inferno bianco. Il secondo motivo è pratico, il
bianco e nero nascondeva i nostri limiti a livello tecnico, non avendo a
disposizione apparecchiature sofisticate… altrimenti il film non sarebbe costato
seimila euro!. Malgrado i limiti, il film ha avuto un notevole apprezzamento, da
parte del grande cinema e di grandi nomi come Franco Nero, Giuliano Gemma, Pupi
Avati… Molte immagini di Inferno bianco, sono entrate ormai nell’immaginario
collettivo del cinema indipendente.

Il film è stato girato
interamente in Italia; un omaggio alla regione Abruzzo. C’è una particolare
motivazione?
Sì, in questo caso un doppio omaggio,
per la similitudine dell’Oregon al paesaggio abruzzese nella stagione invernale.
Nel genere western c’è anche il Nord, non solo l’Arizona dei cactus, del Canyon,
o dei deserti… Inoltre l’Abruzzo è sempre stata zona "filmica", molti film famosi
sono stati girati in questa regione, come Trinità, Ladyhawke; produzioni
italiane, ma anche straniere.
Nel lungometraggio ci sono chiari
riferimenti al Wendigo, ci puoi dire cos’è?
Il Windigo è una divinità inquietante
degli Indiani d’America.
E’ una sorta di creatura cannibale e proprio per questa peculiarità, ne sono
rimasto affascinato e, a modo mio, l’ho inserita nella mia storia.

Inferno bianco è stato
recensito anche da Pupi Avati, che l’ha definito come un’impresa coraggiosa e
azzeccata…
Sono molto grato al maestro Avati. Tra
l’altro non mi aspettavo questo; sono apprezzamenti che fanno sempre un certo
effetto, so che Pupi Avati è molto attento alle produzioni indipendenti.
Io ho sempre avuto il massimo rispetto per
i grandi del cinema italiano.
Ora parliamo di Stefano Jacurti scrittore,
delle opere precedenti e dell’ultimo lavoro, Avrei voluto essere ucciso da Clint
Eastwood ; libro che sta riscuotendo diversi apprezzamenti. Perché questo titolo
e perché proprio Clint Eastwood?
Clint Eastwood è stato un eroe della
mia infanzia. Sono “nato” con il genere western, grazie a mio padre; colui che
mi ha trasmesso tanta passione e a cui devo moltissimo.
La mia generazione aveva i suoi miti, come i giovani di oggi hanno i loro. John
Wayne, che è stato un grandissimo, l’ho vissuto, però solo nell’ultima parte,
perché lui è morto molto prima. Clint Eastwood (grazie a Dio è ancora con noi),
il suo western e quello di Sergio Leone… tra l’altro Clint deve molto a Leone,
ma anche Sergio Leone deve molto a lui. Quest’ultimo lo scelse, azzeccò il
protagonista, quindi a lui vanno tutti i meriti, ma proprio da questo felice
connubio, Sergio Leone inizierà successivamente un nuovo percorso, diverso da
quello di film come Il Colosso di Rodi. Il grande successo che Leone ha
avuto con Eastwood in Per un pugno di dollari, non ha eguali. Io ho voluto
dedicare questo libro alla carriera di Clint, mi sono detto che era giunto il
momento di farlo e di omaggiare questa grande star del western e non solo.
L’ultimo regista classico, con il suo stile così impeccabile, particolare e con
tutti gli Oscar che ha meritatamente vinto… I primi quattro li vinse proprio con
Gli spietati.

Delle tue opere
precedenti, ce n’è una in particolare che ti appartiene di più, che senti più
tua?
C’è il primo libro,
Il baule nella prateria, al quale sono
molto affezionato. Agli inizi della mia carriera, scrivevo copioni teatrali, ma
parliamo di un genere totalmente diverso; non è narrativa, è un altro modo di
scrivere. Quindi per me è stata una tappa fondamentale; un passaggio importante.
Vivo le emozioni dello scrivere; a volte mi ritrovo a sorridere, altre vivo
momenti di malinconia, per esempio quando una lacrima bagna la tastiera del
computer.
Per farti capire…citando il film Mezzogiorno di fuoco, con Gary Cooper,
lì c’è una metafora molto importante, che è quella della vita. La solitudine
dell’uomo, di fronte alle difficoltà.

Per il prossimo futuro,
cosa “bolle in pentola”?
Ho scritto un romanzo ambientato in
Arizona; in questi ultimi anni il western mi ha preso molto. Questo è il mio
primo romanzo, perché il primo libro è stato una raccolta di racconti, l’ultimo,
una raccolta poetica. Questo invece è proprio un romanzo, sono anche molto
emozionato, spero di trovare una pubblicazione. Posso solo anticipare dicendo
che, è la storia di due famiglie che si contendono il territorio in Arizona; una
faida tra due gruppi…

Ringraziandoti, per la
cortesia e disponibilità in riferimento a questa intervista, restiamo in attesa
di deliziarci con altri tuoi nuovi progetti artistici e cinematografici.
E’ stato molto intenso parlare con te,
soprattutto per le domande che mi hai fatto con intelligenza, ma anche con una
grande sensibilità.
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