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Finalmente, dopo diverso tempo, riesco a farmi
concedere questo appuntamento, più volte rinviato, a causa dei suoi tanti
impegni professionali, ma lui, da buon napoletano, estremamente simpatico e
galante, per farsi perdonare della lunga attesa, mi invita a raggiungerlo in un
ristorantino del centro di Roma…
Ciao, Stefano, che bello rivedersi dopo tanto! Che ne dici se, per cominciare,
ripercorriamo insieme i tuoi esordi, la musica, il teatro e il successo?…
Bene, carissima… La musica, il teatro, il successo… Io nasco musicalmente,
all’età di quattro anni, nel senso, che mio padre mi faceva ascoltare già a quei
tempi, le opere liriche. Lui era cantante al Teatro S. Carlo di Napoli, quindi
sono cresciuto con questa bellissima atmosfera del teatro lirico, che in qualche
modo mi appartiene tuttora; la giusta fusione fra la finzione scenica del teatro
e la musica, che poi è ciò che più mi appartiene. Fin da bambino ho iniziato ad
appassionarmi al canto, fino a quando mi fu regalata la mia prima chitarra,
quando avevo otto anni, a Natale, acquistata dal grande maestro Roberto Murolo,
che era amico di mio padre e da lì ho cominciato ad avvicinarmi più seriamente
alla canzone napoletana.

E’ un percorso che sicuramente mi ha
accompagnato nella mia infanzia, contrariamente a tutti i ragazzi della mia età,
che impiegavano i pomeriggi a giocare a pallone dai Salesiani; una struttura
vicinissima a casa nostra, io invece cercavo d’impegnarmi prendendo tutto ciò
che era l’antica tradizione della canzone napoletana, avvicinandomi a questi
grandi artisti, anche perché vivevo spesso con i miei nonni, che non ascoltavano
altro che Roberto Murolo, Renato Carosone e quindi erano delle figure
sicuramente fondamentali per uno come me, che già sentiva così vicina
quest’affinità di anima, nei confronti di una tradizione, che poi, ancora oggi è
presente a Napoli. La fortuna che abbiamo noi napoletani, è che fin da piccoli
riusciamo ad addentrarci in un discorso così culturalmente profondo, che poi ci
accompagna per tutta la vita.

Come nasce la scelta di avvicinarti alla canzone classica napoletana?
La scelta nasce sicuramente per passione, per questo avvicinamento di cui ti ho
parlato prima. Tutto si ricollega alla mia prima chitarra classica, quando
fortuitamente, conobbi “Robertino” (Roberto Murolo), come lo avevo
soprannominato e dagli otto, fino ai sedici anni, ho trascorso la mia infanzia
con lui, tutti i pomeriggi ero a casa sua, di nascosto dei miei genitori, che,
in realtà, erano convinti che andassi all’oratorio, mentre io mi recavo dal
grande maestro. La cosa stranissima, che ancora oggi non mi spiego, è che una
persona di una certa età, già all’epoca anziana, si potesse così tanto
appassionare ad un bambino, al punto di avere questa frenesia, quest’entusiasmo
nel trasmettere delle storie, delle atmosfere, o degli accordi, che poi sono
stati fondamentali per la mia formazione musicale. Indubbiamente è stata
un’impronta fondamentale, per la mia infanzia, che ricordo con grandissima
tenerezza. Casa di Roberto era un museo meraviglioso, tutto ciò ricollegava a
un’epoca di ricordi, a partire dai mobili degli inizi del ‘900, che erano
appartenuti a suo padre; era rimasto tutto invariato.
Figlio d’arte, discendente dalla famiglia dei Lambiase, ma quanta passione hai
ereditato dai tuoi genitori?
Passione sicuramente tanta…grazie anche ai miei genitori. Come ti stavo dicendo,
discendo da una famiglia di artisti del ‘700, per quanto riguarda i miei
genitori, mio padre cantava nel coro del San Carlo e mamma, che a sua volta
aveva avuto un’influenza artistica dai suoi genitori… C’è stato comunque un
salto di generazioni, nel senso, che i miei non si sono comunque dedicati
totalmente all’arte e quindi, pur provenendo da una famiglia certamente
borghese, là dove l’arte non era più considerata fondamentale e sicuramente
formativa per un giovane, che ha in mente di avere successo nella vita. Forse
sono stato frenato dal punto di vista pratico, ma emozionalmente stimolato,
grazie al fatto che da piccolo sono stato avvicinato a questo interesse, sia dal
punto di vista musicale, che teatrale.
Sei stato l’ultimo allievo e musicista del grande maestro Roberto Murolo, che
ricordi conservi del rapporto professionale che hai avuto con questo
indimenticabile artista?
Intanto una grande fortuna. Lui non era un docente, non teneva lezioni di
chitarra e tantomeno di musica napoletana, quindi, i pochi allievi che ha avuto,
sono stati fortunati, io sono uno di quelli. Io sono stato l’ultimo, perché ero
il più giovane e per me è stato un incontro magico. Tutto quello che porto
dentro, da un punto vista personale ed emozionale, è dovuto soprattutto a
quest’uomo meraviglioso, dolcissimo, tenerissimo, che oltre ad avere una cassa
armonica all’interno del suo corpo, assolutamente unica, aveva una grande anima,
che tanto ha saputo farsi riconoscere dalla mia.

E’ stato un bel percorso fondamentale, perché,
all’epoca, all’età di sedici anni, un’età comunque difficile, eravamo deviati in
altri interessi, che ci allontanavano certamente dalla tradizione, parliamo
degli anni ’70-’80, per cui, anche molto influenzati dalla
Stai riportando in tour lo spettacolo Risate di Capodanno, che lo scorso anno ha
ottenuto grande consensi in quel di Roma, che messaggio intendi dare al pubblico
con questo musical?
Fra tutti i cabarettisti e attori, con chi ti piacerebbe condividere
un’esperienza lavorativa teatrale?
Sei nato a Napoli, città quasi paragonabile ad una regina che ha perso la
corona, eppure da sempre decantata dai più grandi poeti, artisti e musicisti di
tutto il mondo. Quanta sofferenza prova un cittadino napoletano, davanti a
problematiche importanti, come quelle che si vivono in questi giorni?
Da diversi anni collabori professionalmente con l’amico di sempre Pino Azzardo;
egregio cantante e cabarettista, che progetti state realizzando insieme?

Un sogno nel cassetto?
Il ricordo più bello, quello che ha lasciato un segno profondo nel tuo cuore di
artista…
Carissimo Stefano, grazie da parte mia e di tutta la redazione per la gentilezza
e disponibilità dimostrataci. Spero di rivederti presto, per trascorrere
insieme, ancora qualche ora in piacevole compagnia.
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